domenica 15 aprile 2012

fantastica avventura on the road

part 1: The Dream

Era un venerdì sera, ed avevamo soltanto il mondo davanti. Fu così che decidemmo di partire. Zero preparativi, zero bagagli, pochi soldi ma tanta musica. Fondamentale e necessaria, in casi come questi. Iniziai a guidare senza alcuna meta quando dallo stereo iniziò a uscire una canzone di quelle che hai voglia di chiudere gli occhi e guidare verso il nulla.
Alla fine della canzone, già spevamo cosa fare, dove andare, come viaggiare.
Il Grand Canyon era già alle nostre spalle, ma Los Angeles ci chiamava. Il tramonto rosso delle polverose pianure prima delle Rocky Mountains era uno spettacolo, e mentre ci arrampicavamo su per il passo che ci avrebbe portati in california decidemmo di fermarci. Era caldo, caldo abbastanza da aprire il tetto della nostra cabrio, e bere una birra scrutando dall'alto le pianure. In lontananza, 600 miglia o forse più verso il buio della notte che avanzava si vedevano dei piccoli flash, certamente lampi, di un temporale che visto così sembrava quasi addomesticabile. Delle mesa spiccavano qui e la, qualche gioco della natura riuscito particolarmente bene. Il rosso della terra, il rosso del cielo, qualcosa di magico.
Ripartimmo e valicammo le montagne rocciose, ed era ormai quasi spento anche il crepuscolo quando vedemmo le luci. Luci artificiali, infondo a un gigantesco avvallamento, luci bianche e gialle, ferme e in movimento, lampeggianti o stroboscopiche. Fasci proiettati verso il cielo, e un'aurea d'orata tutt'attorno. Era senza ombra di dubbio L.A. Guidai come mai prima, velocità folli scendendo il versante, e poi tra le colline, dentro di me sperando che i "cops" avessero di meglio da fare quella sera che stare sulla mia strada.
E cenammo ad Hollywood. tutto qui, una toccata e fuga nel lusso, nel regno pacchiano del grande cinema, senza poterci permettere più di un cheesburger e mezzo pieno di benzina. Già, eravamo soltanto agli inizi di una notte eterna. Giusto il tempo di scolare altre 2 birre, in compagnia di un hobo, un barbone che avevamo caricato sulla walk of fame, mentre tentava di vendere una scenografia cinematografica, e che salutammo poco prima di lasciarci alle spalle la città.
Di nuovo volevamo valicare le montagne rocciose, am stavolta seguendo una delle strade più famose di tutti i tempi: la Route 66, direzione Las Vegas. Li forse i nostri pochi ultimi quattrini avrebbero fruttato qualcosa, quasi sicuramente no, ma era solo mezzanotte, e con quel ritmo saremmo arrivati entro le tre. Lo stereo sputava musica incredibilmente fuori luogo, ma nessuno di noi aveva il coraggio di rompere il flusso audio, eravamo quasi ipnotizzati dall'immondizia.
Improbabile, e improbabilmente eroica. Ovviamente doveva passare, ed entrammo in città con tutt'altra colonna sonora, comunque fuori luogo.
La città era ancora più che viva, del resto che aspettarsi dal Las Vegas alle 3 del mattino? Ed era luminosa, di una luce stranamente fredda ai miei occhi, vuota, neon.
Ci infilammo in un casinò, Bellagio ovviamente, soltanto perchè entrambi riconoscevamo il nome da un bel brutto film di George Clooney.
E per le 4 eravamo di nuovo in auto. Esatto, indovinato, svuotati, ripuliti. Ci restavano giusto 2 dollari per un paio di cheesburger prima di ripartire, mezzo serbatoio di benzina e svariate bottiglie di birra. Piazzola, panino, birra, comunque sia non eravamo affatto scontenti, guardavamo sorridendo l'orizzonte, in direzione della nostra ultima tappa, sempre se ci saremmo arrivati.
Prima dell'alba eravamo in una stazione di servizio semideserta sul confine nord del Nevada, cercando di riempire il serbatoio con l'antico metodo della ladra. Lasciammo a secco 3 auto posteggiate, prima di ripartire sgommando inseguiti da un camionista con tanto di chiave inglese ben salda in mano. Ora eravamo pieni, e la fresca, frizzante aria oceanica del nord ci stava aspettando: Seattle.
guidai tutta la mattina, ormai non avevo più fretta, per colazione altra birra, stavolta non ci fermammo nemmeno, ormai che importanza aveva? I nostri occhi brillavano mentre scrutavamo il nulla di fronte a noi. Era decisamente più fresco, ma non un motivo sufficiente per farci alzare la cappotte; ormai eravamo dipendenti dal vento in faccia e tra i capelli, e il gomito fuori dal finestrino abbassato, stringendo una bottiglia di birra, su una strada deserta... Non potevamo chiedere di meglio.
Seattle, stazione dei treni. Auto ferma, zero benzina. Zero soldi, birra finita. Niente cibo. Così finì la nostra fantastica avventura on the road, chiedendo l'elemosina per tornare a casa. Ma il viaggio di ritorno... Oh, il viaggio di ritorno sarebbe stata un'altra fantastica avventura on the road.


part 2: The Truth

Eravamo 2 disgraziati, in un piovoso venerdì sera, freddo e insolitamente trentino. La vita sociale del luogo aveva già dato modo di deluderci troppe volte, così con la canzone giusta partimmo verso mete sconosciute. Dopo mezz'ora di pioggia e tornanti, approdammo a uno squallido bar di paese. Squallido 2x, perchè anche il paese era squallido. Superamo la paura di entrare tra vecchi giocatori accaniti di tre sette e videopocheristi con occhiaie grandi come copertoni, ma dello stesso colore, e in men che non si dica avevamo in auto ben sei bottiglie di birra, e ci stavamo lanciando verso una meta evidente, vista la nostra voglia di svicolare dal mondo.
Passo Bordala, un passo di montagna caratteristico e molto piacevole da visitare, ma non con 3°C, la pioggia, le nuvole basse e la neve bagnata sui prati. Li ci fermammo, li restammo in stato contemplativo ascoltando musica improbabile e sorseggiando le nostre birre. E fumando, sigarette e tabacco.
Finita la birra, verso l'una, decidemmo di ritenerci soddisfatti della nostra fantastica avventura on the road trentina, e tornammo a casa.